linea calda — il nostro “mondo fuori”, ma da dentro — ep.sette: virginia

linea calda è una rubrica di interviste anonime ad atleti e professionisti del mondo della montagna.
è uno spazio, questo, in cui vengono riportate le contraddizioni, le illusioni, i no-sense che un professionista è costretto ad affrontare oggigiorno nell’industria di mamma outdoor. il tutto senza tanti fronzoli.
ai partecipanti, per garantire loro la massima libertà d’espressione, è stato cambiato il nome; a qualcuno di loro anche il sesso. da qui il carattere anonimo del format.

ho deciso di iniziare questa rubrica perché il mondo della montagna ha preso una direzione che mi preoccupa e che credo sbagliata -o sicuramente migliorabile- per noi che la frequentiamo e, ovviamente, per la natura stessa. ci sono tanti miti da sfatare, comportamenti che richiedono una certa consapevolezza, retoriche superate. e tanto altro che non conosco ma che spero di venire a conoscere intervista dopo intervista.

lamento delle forti e ingiustificate frustrazioni verso qualsiasi pensiero o azione che non reputo, anche se in minimissima parte, indirizzate verso il bene comune, qualcosa di più grande. questo podcast non verbale ha l’unico e ambizioso scopo di far riflettere, e perché no, di migliorarci.

virginia l’ho incrociata due volte. ed entrambe le volte ci siamo solo salutati. è stato liuk a suggerirmi di intervistarla. “è sveglio il ragazzo”, mi ha detto “abbiamo solo opinioni diametralmente opposte su un po’ di cose, ma a parte questo ci stimiamo credo”.
virginia corre. corre tanto e bene. il suo punto di vista è interessante, leggetevelo. e un grazie ancora a liuk per avermi consigliato il suo punto di vista in questa rubrica.

TRALASCIANDO IL FATTO CHE TI SIA STATO CHIESTO, PERCHÉ HAI DECISO DI PARTECIPARE A QUESTA RUBRICA?

Ti conoscevo per sporadici contatti, uno o due amici in comune e perché seguo la tua pagina Instagram; avevo voglia di portare il mio punto di vista e supportare il tuo progetto perché penso abbia un valore.

QUALI SONO I PRINCIPALI PROBLEMI DELL’INDUSTRIA DELL’OUTDOOR, ORA COME ORA?

La gentrificazione, che fa si che attività come l’arrampicata, l’alpinismo, il trail running, un tempo considerate “povere” ed essenziali, richiedano sempre più risorse, attrezzatura e siano sempre meno accessibili. Non posso fare a meno di notare il paradosso del profitto che permea l’industria dell’outdoor, ovvero come quest’ultima abbia creato innanzitutto dei consumatori, facendo nascere nelle persone l’esigenza di comprare prodotti e attrezzatura ancor prima di approcciarsi agli spazi naturali e alla natura selvaggia, presumibilmente ancora non toccati dal capitalismo. Oggi l’outdoor culture è fondamentalmente una cultura commerciale. Non siamo ormai più in grado di andare in montagna, correre o arrampicare senza prima fare un giro da REI, Decathlon, Sportler o un qualsiasi altro outdoor store o online shop. 
C’è poi il problema dell’impatto ambientale dell’industria outdoor, e dei goffi tentativi di mascherare il greenwashing operato da diverse aziende. 

QUALI SONO INVECE LE PROBLEMATICHE PRINCIPALI CHE RISCONTRI, NEL TUO SETTORE, OGGIGIORNO?

L’eccessiva frammentazione del movimento, una narrativa molto incentrata sull’apparenza, sul racconto in chiave epica delle imprese sportive, molta confusione su cosa abbia effettivamente valore e cosa no dal punto di vista sportivo e culturale, lo sbilanciamento del mercato in favore dei brand, spesso a scapito delle persone che costituiscono l’anima del mio sport: atleti, appassionati, organizzatori, coach…
I media parlano principalmente di ciò che porta visualizzazioni e click per paura di perdere opportunità commerciali, e questo fa si che il racconto della realtà sia pesantemente filtrato attraverso la lente del business. 
Ci si aspetta che chi lavora in un’azienda outdoor abbia un minimo di cultura e passione per la cosa di cui si occupa, ma spesso non è così. Mi capita di interfacciarmi con persone che non sanno nulla montagna, di trail running, di come funzionano alcune dinamiche a livello sportivo, che trattano queste cose come se fossero un business qualsiasi - che ne so, di laminati plastici - senza capire che è fatto principalmente di persone e di natura, che probabilmente meriterebbero un’attenzione e un rispetto diversi.

QUALE È STATA LA COSA PIÙ STRANA CHE TI SIA STATA CHIESTA? A QUALI COMPROMESSI SEI DOVUTA SCENDERE?

In passato mi è capitata una collaborazione con un’azienda energetica, attiva nel settore delle rinnovabili ma non solo, che voleva usare la mia immagine per promuovere la sua sostenibilità ambientale e il suo essere green attraverso lo sport che pratico. A posteriori me ne vergogno un po’, ma all’epoca avevo pochissimi soldi e ancor meno opportunità, inoltre non ero molto consapevole di queste dinamiche di marketing. E’ andata a finire che abbiamo girato una serie di spot parlando di sostenibilità ambientale e comportamenti eco friendly come i peggiori green influencer di instagram, a fronte di un impegno personale abbastanza importante e un guadagno bassissimo. Ricordo di aver cercato di far leva sulla necessità di parlare di queste tematiche creando un minimo di consapevolezza e basandosi qualche dato, più che sugli eco-tips e su come riciclare i gambi dei broccoli, ma non aveva funzionato granché.

DI COSA HA BISOGNO UN PROFESSIONISTA, RELATIVAMENTE AL TUO SETTORE DI RIFERIMENTO, IN QUESTO PERIODO STORICO?

Dal punto di vista di un atleta professionista il principale fattore limitante per la performance e la partecipazione alle gare è la disponibilità di tempo (per allenarsi, recuperare da gare e allenamenti, viaggiare..). Per allenarsi e performare ad alto livello un atleta élite ha bisogno di soluzioni che gli consentano di dedicare sufficiente tempo alla sua attività sportiva. Il modo più semplice è attraverso un contratto con uno sponsor che gli consenta di togliere tempo al lavoro, inteso come attività extra corsa. A volte non è nemmeno necessario che l’atleta si dedichi alla sua attività full time, ci sono molti esempi di persone che si trovano bene lavorando part time o da remoto e allenandosi nel resto del tempo. Penso che la chiave stia nel trovare un buon equilibrio e sufficiente flessibilità tra lavoro e altri impegni.
Poi servono condizioni adeguate per allenarsi, programmazione, durabilità, cultura, capacità comunicative, risorse mentali, saper tirare fuori il buono che c'è nei momenti che contano, trovare sempre la strada per andare avanti, anche quando può sembrare irrazionale farlo. 

DI COSA HA BISOGNO LA MONTAGNA INVECE?

Di essere lasciata in pace, essenzialmente, e di essere raccontata per ciò che è. Si parla tanto di come valorizzare la montagna, di investire sul turismo, infrastrutture, su opere per attirare turisti e investimenti, dimenticandosi che i territori montani hanno un valore proprio e non necessiterebbero strutture per essere valorizzati. La natura è il loro valore. Mi sembra che spesso la montagna sia vista come luogo di svago per chi non ci abita, e come luogo da cui allontanarsi per chi in montagna ci vive. La montagna ha bisogno di servizi per queste persone, non di piste da bob, come chiedevano i ragazzi di Cortina. 

TI PIACEREBBE UN GIORNO RIVELARE AI LETTORI LA TUA IDENTITÀ E FARTI PORTAVOCE DI QUANTO HAI SCRITTO?

Non so se mi piacerebbe, ma non avrei un vero problema se questa alla fine di questa intervista tu rivelassi il mio nome. 

SAPRESTI DARE UNA POSSIBILE SOLUZIONE ALLE PROBLEMATICHE CHE HAI EVIDENZIATO?

Penso sia un problema sistemico, non credo che la soluzione debba essere cercata esclusivamente nel contesto dell’outdoor industry, degli sport outdoor, dei territori montani. Alla fine sarebbe presuntuoso e limitante pensare che il problema riguardi soltanto noi. Siamo uno specchio della società, nello stesso tempo, riflettendoci meglio, per alcuni aspetti siamo un po’ diversi. Non a tutti piace stare in montagna, fare sport e attività all’aperto. Penso che partire da un racconto della realtà più autentico e aderente al vero, misurare meglio gli aggettivi, ampliare le opportunità di educazione e cultura possa aiutare. Servirebbero maggiore onestà intellettuale, un abbassamento dei toni della comunicazione e soprattutto il disaccoppiamento di questo racconto dal business a tutti i costi. Vedi che sono problemi più ampi e non limitati al contesto di cui stiamo parlando?

COS’HA QUESTO MONDO, QUELLO OUTDOOR, DI DIVERSO DA TUTTO IL RESTO CHE TI CIRCONDA?

Riguarda qualcosa che per me è legato al fare fatica e alla natura, che come esseri umani ci coinvolge e ci accomuna. Non saprei definire esattamente che cosa, ma è quello che ci spinge a uscire a correre, ad aprire una via, a resistere ancora un metro. La sensazione che traggo da tutto questo non me la dà nessun’altra cosa.

C’È QUALCOS’ALTRO CHE CI TERRESTI PARTICOLARMENTE AD
AGGIUNGERE?

Non molto, al momento sono a Boulder e queste dinamiche accadono praticamente fuori dalla finestra della caffetteria in cui sono seduto.